Assegno figli, il cambio di passo

Stop alle rendite di posizione, dopo gli ex non più blindati ora tocca ai figli

Assistenza morale e materiale tra i coniugi e doveri verso i figli. Sono due degli obblighi che derivano dal matrimonio, insieme alla fedeltà e alla collaborazione, ricordati dal sacerdote o dall’ufficiale di stato civile o dal sindaco. Ma soprattutto dai giudici. E non sempre in maniera coerente.

Quanto all’assegno di divorzio, l’intervento delle Sezioni unite della Cassazione (sentenza 18287/2018) ha tracciato una via, dopo la confusione generata dalla sentenza Grilli (sentenza 11504/2017) con la quale si è passato un colpo di spugna sul trentennale criterio del tenore di vita.

Un principio che, con un effetto domino ha avuto dei riflessi anche nella giurisprudenza che riguarda l’assegno di mantenimento in sede di separazione, malgrado la diversa natura. Sui figli la giurisprudenza di legittimità è più ondivaga. I giudici di ultima istanza sono passati dal dare il via libera al mantenimento del figlio laureato da tempo (sentenza 7970/2013) che chiede e ottiene la paghetta perché non trova il lavoro in linea con le sue aspirazioni, ai cordoni della borsa chiusi allo scoccare dei anni (sentenza 17183/2020). Se non studia deve trovarsi un lavoro qualunque esso sia.

Con un deciso cambio di passo la Suprema corte, crisi economica o meno, ha chiesto di passare dal principio del «diritto ad ogni possibile diritto » al concetto di dovere. Dall’assistenzialismo all’autoresponsabilità, come impone l’evoluzione della nostra società. Finiti gli studi, siano quelli liceali, la laurea triennale o la specialistica, un figlio ha il dovere di trovare un’occupazione e rendersi autonomo. Senza coltivare velleità incompatibili con il mutato mercato del lavoro.

Perché l’assegno di mantenimento ha una funzione educativa e non è un’assicurazione. Il figlio deve attivarsi per rendersi autonomo, in attesa di un impiego più aderente alle sue aspirazioni. Senza pretendere «che a qualsiasi lavoro si adatti soltanto, in vece sua, il genitore ». E questo a prescindere dalla famiglia facoltosa. Alla condizione economica dei genitori la Cassazione ha dato invece importanza con la sentenza 19077/2020.

Se i genitori sono facoltosi il figlio, anche maggiorenne, che non ha raggiunto la piena indipendenza economica, ha diritto a mantenere un tenore di vita possibilmente analogo a quello goduto in precedenza. Quando però si pretende troppo c’è il rischio di dover restituire al genitore il non dovuto. Un padre che aveva mantenuto le figlie ormai autosufficienti e sposate, ha così ottenuto la restituzione di quanto indebitamente pagato (ordinanza 3659/2020). Una certezza sta nel fatto che dal dovere di mantenimento dei figli e dell’ex moglie, quando ci sono i presupposti, non si scappa, neppure quando l’ex marito vanta dei crediti. Con la sentenza 9553/2020, la Cassazione hanno chiarito che il soggetto obbligato a fornire i mezzi di sussistenza non può pretendere di compensare l’assegno con altri crediti, pena il reato previsto dall’articolo 570 del Codice penale.

Per quanto riguarda l’assegno di mantenimento all’ex moglie, molte sono state nel 2020, le decisioni che si sono mosse sulla scia tracciata dalle Sezioni unite (sentenza 18287/2018). Il Supremo consesso è stato chiamato a dettare dei criteri e a sciogliere i dubbi sorti dopo la nota sentenza Grilli (sentenza 11504/2017). Alle Sezioni unite è spettato il compito di fornire dei parametri. Una strada individuata nella valutazione comparativa. Ai fini del diritto all’assegno e della sua quantificazione, sul piatto della bilancia vanno messe le condizioni economico-patrimoniali degli ex, il contributo fornito dall’ex coniuge che chiede l’assegno alla formazione del patrimonio comune e personale. Da considerare anche la durata del matrimonio, il potenziale reddito futuro e l’età dell’avente diritto. Su questa scia si è mossa la Cassazione, nel 2020. Con l’ordinanza 11202/2020 i giudici hanno chiarito che la raggiunta autosufficienza economica da parte della moglie non basta ad escludere l’assegno, ma, in nome della funzione compensativo perequativa dell’assegno, va dato un peso al contributo dato al ménage familiare durante il matrimonio.

Che una nuova convivenza fosse la strada per perdere l’assegno e anche la possibilità di chiederlo a storia d’amore finita la Cassazione lo dice da tempo. Ma con l’ordinanza 22604/2020, già battezzata la «salvamariti» la Suprema corte ha affermato, diversamente da quanto sostenuto dalla Corte d’Appello, che si può considerare famiglia di fatto un’unione consolidata con periodi di coabitazione, anche se non c’è una convivenza continuata. Un verdetto al passo con i tempi in cui il lavoro o esigenze familiari possono portare le coppie, anche stabili, a vivere spesso lontano. Che non si possa più contare sulle rendite di posizione è ormai abbastanza chiaro. La Cassazione si è avviata ad archiviare il rassicurante principio del tenore di vita anche nella separazione: i criteri utilizzabili sono l’assistenziale e il compensativo (sentenza 26084/2019) . Il giudice delle leggi (sentenza 145/2020) ha negato la possibilità di applicare una sanzione pecuniaria amministrativa in caso di mancato pagamento dell’assegno in favore della prole, perché la condotta è già sanzionata penalmente.

Fonte: Il Focus de Il Sole 24 Ore