Il governo procede incontrastato da chi deve intervenire
Con il Covid si ledono, con atti amministrativi, prerogative costituzionalmente tutelate
L’emergenza sanitaria genera l’emergenza giuridica.
Alle vessazioni contro i diritti costituzionalmente sanciti, inflitte con atti amministrativi, ormai non si fa più caso, ma a punte come quella raggiunta questa settimana prima a palazzo Madama, poi a Montecitorio, nessuno avrebbe mai pensato si potesse giungere.
Qualche numero è sufficiente per chiarire l’aberrazione. Un decreto legge, il n. 137, detto «ristori», partito con 35 articoli ripartiti in 166 commi, è arrivato alla conversione finale con 118 articoli divisi in 464 commi. Il fascicolo della Camera che lo riporta si distende per 277 pagine. È riuscito a inglobare tre altri decreti-legge: n. 149 («ristori bis»), n. 154 («ristori ter») e n. 157 («ristori quater»). Il triste primato pone non pochi problemi per individuare l’entrata in vigore e la decadenza di ciascuna disposizione. Ovviamente l’omogeneità di scopo del decreto, come di qualsiasi decreto-legge, è raggiunta soltanto attraverso forzature interpretative, per esempio ricorrendo alla materia finanziaria, che unisce sì molte norme ma che la Corte costituzionale ha censurato, perché consente di riempirsi «dei contenuti definitori più vari». Guardando il parere licenziato dal comitato per la legislazione della Camera (i cui richiami non avranno alcun concreto seguito, a causa della fiducia apposta sulla conversione) si nota l’inconferenza rispetto all’unitarietà di temi come il contributo per l’orchestra giovanile Luigi Cherubini, gli interessi applicabili nelle procedure amichevoli previste nelle convenzioni contro le doppie imposizioni, la parità di genere nell’ordine dei dottori commercialisti.
La presenza simultanea di più decreti ha provocato sfasature di non semplice soluzione. I controlli sul braccialetto elettronico applicato ai detenuti sono disciplinati in maniera diversa (sei mesi o sette mesi) nel medesimo articolo 30. La presentazione di una domanda per un’indennità scadeva il 13 novembre 2020, a pena di decadenza, secondo il comma 9 dell’articolo 15, ma il 15 dicembre successivo, sempre a pena di decadenza, secondo il comma 10 dell’articolo 15-bis. Da notare che il mega emendamento governativo depositato al Senato, per la prima fiducia, conteneva quattro pagine di «coordinamento formale», ossia errori da correggere.
L’intreccio di più provvedimenti d’urgenza altera il «lineare svolgimento della procedura parlamentare di esame dei disegni di legge di conversione ». Il parere del comitato per la legislazione cerca di chiarire il caos che si produce, ma è costretto a svilupparsi lungo percorsi così intricati (compresi periodi di oltre venti righe fra un punto e virgola e l’altro) da non permettere di capire un beneamato tubo. La faccenda è così complicata da rendere altrettanto complicato il chiarimento.
Quel che si comprende è che viene recato «pregiudizio alla chiarezza delle leggi e alla intelligibilità del provvedimento».
Videant consules: ci penseranno la magistratura e la Corte costituzionale a raddrizzare almeno qualche stortura.