La capacità distintiva art. 13 c.p.i. (Codice della proprietà industriale) e art. 7, comma 1, lett. b), c), d) RMUE
Non possono costituire oggetto di registrazione i segni privi di carattere distintivo, dunque inidonei a svolgere la funzione principale del marchio, ossia permettere al pubblico di riferimento di identificare determinati prodotti o servizi come provenienti da una determinata impresa e dunque di distinguere tali prodotti o servizi da quelli di altre imprese, e in particolare:
• quelli dotati di carattere descrittivo, segnatamente quelli costituiti da denominazioni generiche dei prodotti o servizi contrassegnati dal marchio o da indicazioni descrittive delle caratteristiche dei medesimi.
• quelli costituiti esclusivamente da segni divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi del commercio
• quelli che sono indistinguibili dal prodotto che contraddistinguono e che, in ragione di ciò, non sono percepiti dai consumatori come segni distintivi (si tratta del principio c.d. della estraneità del marchio al prodotto, di rilievo soprattutto con riferimento ai marchi di forma);
Possono comunque costituire oggetto di registrazione i segni che prima della domanda di registrazione, in conseguenza dell’uso che ne sia stato fatto, abbiano acquistato carattere distintivo.
È in oltre prevista la possibilità che un segno, a seguito dell’uso fattone, prima della proposizione della relativa domanda o eccezione, acquisisca il carattere distintivo di cui era originariamente privo. In tal caso non se ne potrà più dichiarare la nullità. Un marchio originariamente dotato di capacità distintiva invece può decadere se diviene un termine generico per definire quella tipologia di prodotti (c.d. “volgarizzazione”) o quando abbia comunque perduto la sua capacità distintiva.
Motivi di esclusione ai fini della registrazione Non possono costituire oggetto di registrazione, in quanto privi di carattere distintivo, i marchi che consistono esclusivamente in segni divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi costanti del commercio.
Rientrano certamente in questa categoria parole che sono tradizionalmente segni liberi del commercio come ad esempio “standard”, “extra”, “super”, ovvero segni figurativi di chiara valenza descrittiva quali la croce per i prodotti medicinali o la saetta per prodotti elettrici (Trib. Torino 29/09/2009, in Giur. ann. dir. ind., 2009, 1187, ed anche Trib. Torino 18/06/2008, in Redazione Giuffrè, 2008).
Bisogna sempre tenere presente che, come ha precisato il Tribunale dell’UE, la valutazione della registrabilità di un marchio, e quindi anche la sua riconducibilità alla categoria dei segni di uso comune deve essere valutata con riferimento ai prodotti o ai servizi oggetto del marchio e alla percezione che di esso abbia il pubblico destinatario dei prodotti o servizi.
Nel caso di marchi complessi in cui uno degli elementi costitutivi sia un segno di uso comune, la giurisprudenza ha affermato il principio per cui un marchio complesso, come ad esempio “Oro Saiwa”, costituito da un elemento dotato di capacità distintiva come “Saiwa” e da un termine di uso comune come “oro”, sia valido solo nel suo complesso e non possa condurre ad una tutela autonoma della componente non distintiva.