Spetta al paziente provare che il danno è dipeso dal medico

Terapia inadeguata, intervento non riuscito, decorso più complesso, diagnosi tardiva, sono solo alcuni dei casi in cui si può tentare la via del risarcimento. La riforma, però, ne condiziona il successo ad una prova rafforzata accollando sul paziente l’onere di dimostrare sia il rapporto di cura e l’insorta o aggravata patologia che il nesso causale tra condotta sanitaria e lesione. Un fardello pesante a fronte di una responsabilità del medico più soft del passato quando era lui a dover convincere i giudici di aver agito con diligenza e nell’osservanza delle regole o che l’evento fosse dipeso da cause impreviste o imprevedibili. Ovvio che, qualora si coinvolga una struttura per i danni provocati da un medico dipendente, la prova seguirà i criteri contrattuali con maggiore carico probatorio sul professionista che le sentenze gemelle 28991/19 e 28992/19 della Cassazione hanno rafforzato aggiungendo un tassello: il secondo ciclo causale. In sintesi, scrivono, una volta che il danneggiato abbia provato il nesso materiale, il medico dovrà dimostrare la specifica e sopraggiunta causa esterna da cui derivi l’assenza di colpa. Per andare esente da addebiti, quindi, sarà tenuto a provare che nello svolgere la sua attività sia intervenuto un determinato fattore non suscettibile di essere tamponato nemmeno seguendo le linee guida e le buone prassi clinico assistenziali. Questo, perché – lo ribadisce Cassazione 5128/20 (nello stesso senso: Tribunale di Catania 2014/20) – la diligenza va sempre parametrata alla specifica causa esterna sopravvenuta in maniera che il giudice possa verificare se, con la diligenza esigibile dal professionista medio, si sarebbe potuto evitare l’evento. Il nodo, quindi, che si versi nella responsabilità extracontrattuale come nella contrattuale, sta nell’indagine sull’esistenza del nesso eziologico. Come lo si accerta, lo chiariscono le varie pronunce.

L’indagine sul nesso causale

In linea generale, tocca al danneggiato o all’erede (Tribunale di Firenze 1122/20) dimostrare con ogni mezzo secondo la regola del “più probabile che non” (Cassazione 13872/20) il legame tra malasanità e lesione. Ma non basterà indicare l’evento come complicanza rilevabile in statistica potendo il peggioramento derivare o da fatti prevedibili ed evitabili (ascrivibili a colpa medica) o non prevedibili o non evitabili quindi non addebitabili al sanitario (Cassazione 122/20). Tuttavia, la responsabilità non potrà escludersi per incertezza sugli effetti sulla salute di una diagnosi corretta e tempestiva potendo il nesso dirsi provato in modo certo anche in relazione ad eventi incerti (Cassazione 29838/18). L’incompletezza della cartella clinica, invece, consentirà di ricorrere a presunzioni per provare lesione e nesso (Tribunale di Palermo 3612/17) ma il nesso si riterrà dimostrato solo se le lacune appurate ne abbiano impedito il riscontro e il medico abbia agito in maniera astrattamente idonea a provocare il danno (Cassazione 14261/20).

La chance persa

Per alcune patologie, come le tumorali la cui prognosi è strettamente connessa a diagnosi tempestive, se il medico non abbia eseguito subito i controlli per accertare la situazione e focalizzare il rimedio più idoneo a rallentarne l’evoluzione potrà scattare anche il ristoro da perdita di chance ove il malato, per l’omissione, abbia perso la possibilità di vivere più a lungo (anche settimane o mesi) rispetto al periodo effettivamente vissuto (Cassazione 16919/18). Danno, suscettibile di un’autonoma valutazione economica, che non può coesistere con quello alla salute e con il correlato danno morale il cui presupposto è che la lesione provocata dal sanitario abbia non soltanto privato il paziente di una possibilità di cura ma concretamente inciso sulle sue condizioni (Tribunale di Milano 766/20).

L’errore in sala parto

Tra le circostanze più tristi in cui è stata sancita la responsabilità civile del medico, c’è la morte di un neonato avvenuta – in parte per ragioni naturali ed in parte per colpa sanitaria – a sole 29 ore dalla nascita. Vicenda assai discussa perché ai genitori si negò il risarcimento del danno da perdita parentale. In realtà, la Corte di appello di Ancona (sentenza 101/19) giunse a quella soluzione per mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo che avrebbe consentito al padre e alla madre del bambino di incassare il ristoro come suoi eredi. Ridotto, invece, l’indennizzo dovuto dal professionista e dalla clinica ai genitori di un bebè per gli errori commessi durante il parto se sulla sua condizione, seppur aggravata da sbagli sanitari, abbia inciso una precedente malattia genetica. Del resto, la patologia pregressa concausa dell’evento è comunque una causa naturale non imputabile all’agire medico (Cassazione 20829/18) il che imporrà anche di calcolare il risarcimento in via equitativa (Cassazione 10812/19). A fronte di lesioni neonatali permanenti, però, dall’ammontare del danno – inclusivo delle spese da sostenere vita natural durante per l’assistenza personale – andrà sottratto il valore capitalizzato dell’indennità di accompagnamento ottenuta, trattandosi di somma volta a compensare la retribuizione di un aiuto per le esigenze del soggetto reso disabile per negligenza al parto (Cassazione, sezioni unite 12567/18; Cassazione 31235/18).

Fonte: Il Sole 24 Ore