Tutte le indicazioni per contestare al Fisco le richieste di imposte

Ho ricevuto una richiesta di pagamento di maggiori imposte da parte dell’Agenzia delle Entrate, con corrispondenti sanzioni. A mio avviso le somme non sono dovute. Come posso difendermi? Quali sono gli adempimenti necessari per rivolgersi al giudice tributario?

Il contribuente che abbia ricevuto una richiesta di pagamento di maggiori imposte e sanzioni da parte dell’amministrazione finanziaria può contestare l’addebito rivolgendosi al giudice tributario. Il giudizio tributario è il procedimento giurisdizionale dedicato alla risoluzione delle controversie di natura tributaria, anche in materia di rimborso di imposte, insorte tra contribuente e amministrazione finanziaria. Deve trattarsi di controversie aventi ad oggetto tributi di ogni genere e specie comunque denominati, incluse le relative sanzioni (articolo 2 del Dlgs 546/1992). Le questioni aventi ad oggetto somme di natura non tributaria appartengono alla cognizione del giudice ordinario, così come le controversie in materia di riscossione forzata. Le controversie in materia tributaria sono demandate alle Commissioni tributarie, organizzate in Commissioni tributarie provinciali (giudice di primo grado), istituite presso ciascun capoluogo di Provincia, e Commissioni tributarie regionali (giudice di appello), istituite presso ciascun capoluogo di Regione (ma esistono alcune sezioni distaccate). La Commissione tributaria provinciale competente è quella della circoscrizione nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso l’atto che si intende impugnare (articolo 4 del Dlgs 546/1992). Per le controversie di valore fino a 3mila euro, la parte privata può stare in giudizio personalmente, senza assistenza tecnica. Per controversie di Tutte le indicazioni per contestare al Fisco le richieste di imposte importo superiore, il contribuente deve essere assistito da un difensore abilitato (avvocato, dottore commercialista, consulente del lavoro, altri soggetti indicati all’articolo 12 del Dlgs 546/1992) specificamente nominato. Per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle sanzioni irrogate con l’atto impugnato, ma in caso di controversie relative esclusivamente a sanzioni il valore è rappresentato dalla somma di queste (articolo 12, comma 2). Il ricorso deve contenere l’indicazione della Commissione tributaria cui è diretto, del ricorrente e del suo legale rappresentante, dell’ufficio nei confronti del quale è proposto, dell’atto impugnato e dell’oggetto della domanda nonché dei motivi (articolo 18 del Dlgs. 546/1992). Il ricorso deve essere presentato a pena di inammissibilità entro 60 giorni dalla notifica dell’atto da impugnare (ovvero 150 giorni, se è stata presentata istanza di accertamento con adesione). Se il ricorso riguarda il rifiuto tacito dell’amministrazione ad una richiesta di rimborso, l’impugnazione non può essere proposta prima del 90° giorno dalla presentazione dell’istanza di restituzione. Per i termini processuali, il computo dei giorni è disciplinato dall’articolo 155 Cpc, pertanto non si computa il giorno iniziale del termine. Se il termine finale cade in un giorno festivo, così come di sabato, il termine è prorogato di diritto al primo giorno seguente non festivo. La decorrenza dei termini processuali è sospesa di diritto dal 1° agosto al 31 agosto di ciascun anno. In tutti i casi in cui è obbligatoria l’assistenza tecnica, la notifica ed il deposito degli atti deve avvenire esclusivamente in via telematica (notifica a mezzo Pec; deposito tramite portale del Sistema Informativo della Giustizia Tributaria - Sigit). Se l’atto è di valore non superiore a 50mila euro (secondo i criteri indicati dall’articolo 12, comma 2, Dlgs 546/1992) si applica la procedura di reclamo/ mediazione. La costituzione in giudizio avviene con il deposito del ricorso presso la Commissione tributaria provinciale competente, da effettuare a pena di inammissibilità entro i 30 giorni successivi dalla data di notifica del ricorso (articolo 22 del Dlgs 546/1992). Unitamente al ricorso, vanno depositati copia dell’atto impugnato e i documenti che si intende produrre. L’ente resistente può costituirsi in giudizio entro 60 giorni dalla notifica del ricorso, ma tale termine è ordinatorio e non perentorio.

Il perimetro tra giudice tributario e ordinario

Ho ricevuto una cartella di pagamento che contiene l’iscrizione a ruolo di somme dovute sia a titolo di tributi richiesti dal Comune, sia a titolo di contributi richiesti dall’Inps. A quale giudice mi devo rivolgere per contestare la richiesta di pagamento?

La giurisdizione del giudice tributario è individuata dall’articolo 2 del Dlgs 546/1992, secondo cui appartengono al giudice tributario tutti gli atti impositivi aventi ad oggetto tributi di ogni genere e specie comunque denominati. La Corte di Cassazione si è più volte pronunciata sui limiti della giurisdizione del giudice tributario, affermando il principio, ormai consolidato, secondo cui occorre verificare la natura delle somme cui si riferisce la pretesa portata all’attenzione del giudice. Quindi, il giudice tributario è competente a pronunciarsi solamente sulle questioni di natura tributaria. Nel caso oggetto del quesito, potrà essere adito il giudice tributario con riferimento alla sola pretesa a titolo di tributo, mentre dovrà contestarsi davanti al giudice ordinario, con separata impugnazione, la richiesta di somme avanzata dall’Inps, in quanto trattasi di somme di natura non tributaria bensì contributiva.

Ho presentato ricorso al giudice tributario avverso un atto impositivo. Le somme richieste in pagamento sono automaticamente sospese fino alla sentenza?

L’impugnazione di un atto impositivo non ne sospende automaticamente l’esecutività. Pertanto, in assenza di un provvedimento di sospensione disposto dal giudice in accoglimento di specifica richiesta del contribuente, quest’ultimo è tenuto a versare le somme richieste nella misura stabilita dalla legge. In caso di mancato pagamento, le somme vengono affidate all’agente della riscossione che può porre in essere azioni cautelari ed esecutive per il recupero degli importi. Nel caso di impugnazione di una cartella di pagamento, le somme iscritte a ruolo vanno versate per l’intero importo. In alcuni casi la legge prevede una riscossione frazionata. Ad esempio, per gli avvisi di accertamento in materia di imposte dirette, Irap e Iva, in linea generale la legge prevede che, in pendenza di ricorso, sono dovute un terzo delle maggiori imposte accertate, oltre relativi interessi (articolo 15 del Dpr 602/1973). Lo stesso vale per gli avvisi di liquidazione in materia di imposta di registro che rettificano il valore del bene trasferito.

Non sono in grado di pagare le somme dovute in via provvisoria in pendenza di ricorso. Come si inoltra al giudice la richiesta di sospensione? Quali sono i presupposti?

La sospensione dell’esecutività dell’atto impositivo impugnato è disciplinata dall’articolo 47 del Dlgs 546/1992. L’istanza di sospensione può essere presentata contestualmente al ricorso oppure con atto separato (in quest’ultimo caso occorre prima notificare l’istanza a controparte e poi depositarla in Commissione tributaria). La funzione dell’istanza è quella di sospendere gli effetti pregiudizievoli dell’atto fino al deposito della sentenza di primo grado. Ai fini dell’accoglimento della richiesta di sospensione devono sussistere due requisiti: 1) il fumus boni iuris, ossia la verosimile fondatezza dei motivi di ricorso; 2) il periculum in mora, ossia il pericolo di un danno grave ed irreparabile che il contribuente subirebbe se fosse azionata la pretesa tributaria. L’istanza di sospensione deve essere decisa entro 180 giorni dalla presentazione della stessa.

Devo impugnare un atto impositivo di valore non superiore a 50mila euro. Come incide l’istituto del reclamo/mediazione sulla presentazione del ricorso?

Alle controversie tributarie di valore non superiore a 50mila euro si applica l’istituto del reclamo/ mediazione (articolo 17-bis del Dlgs 546/1992). Si tratta di uno strumento finalizzato ad incentivare la deflazione delle controversie tributarie, consentendo all’ente impositore di valutare la fondatezza del ricorso preventivamente al radicamento della controversia davanti al giudice tributario. Il procedimento di reclamo/mediazione viene introdotto automaticamente con la notifica del ricorso nel termine ordinario di impugnazione (60 giorni dalla notifica dell’atto impositivo o 150 giorni in caso di accertamento con adesione). Con la proposizione del ricorso si apre una fase amministrativa della durata di 90 giorni. Trascorsi i 90 giorni senza che l’ente impositore accolga le argomentazioni esposte nel ricorso, il contribuente avrà 30 giorni di tempo per costituirsi in giudizio avanti il giudice tributario. Invece il procedimento si conclude positivamente, e la controversia non prosegue davanti al giudice tributario, se l’ufficio accoglie le argomentazioni contenute nel ricorso oppure formula una proposta di mediazione con rideterminazione della pretesa che il contribuente accetti (in tal caso le corrispondenti sanzioni sono ridotte al 35%).

Per presentare ricorso occorre effettuare un pagamento a titolo di contributo unificato?

Sì, all’atto della costituzione in giudizio, con il deposito del ricorso presso la commissione tributaria competente, il ricorrente è tenuto al pagamento del contributo unificato. Il contributo unificato è parametrato al valore della lite, che deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni del ricorso. Il valore della lite è quello stabilito ai sensi dell’articolo 12, comma 2, del Dlgs 546/1992. In caso di ricorso cumulativo, con il quale vengono impugnati contestualmente più atti impositivi, il contributo unificato va quantificato con riferimento ai valori dei singoli atti e non sulla sommatoria degli stessi. Il contributo unificato va da un minimo di 30 € per le liti di importo fino ad 2.582,28 € ad un massimo di 1.500 € per le controversie di importo superiore a 200mila euro. Nell’ipotesi di omessa dichiarazione del valore della controversia nel corpo del ricorso, il Cut viene liquidato nella misura massima di 1.500 €. Il mancato pagamento del Cut è punito con l’irrogazione di una sanzione fino al 200% dell’importo del Cut.

Fonte: Il Sole 24 Ore