Il nuovo millennio, impattando contro lo scoglio coronavirus che ha messo a dura prova il sistema sanitario e i meccanismi che reggono la responsabilità medica, consacra anche una rivoluzione positiva: il contenzioso per malpractice vede risolte le incertezze interpretative legate all’oscillare di orientamenti assai difformi. Ad imporne la revisione – avviata con Dl Balduzzi 158/12 e conclusa con legge 24/17 (Gelli-Bianco) – è stato l’esplodere delle liti dovuto alle maggiori informazioni sui diritti del malato ed ai più cospicui ristori.
La prova
La responsabilità del medico dipendente da contrattuale diventa extracontrattuale (articolo 2043 Cc) con serie ripercussioni sull’onere probatorio del paziente: per essere risarcito dovrà provare il danno (insorgenza/aggravarsi della patologia), il nesso con la condotta medica e la sua illiceità (dolo/colpa). Il medico potrà liberarsi negando l’errore o provando che l’evento non sia dipeso da lui. Il tempo utile scende a 5 anni. Per il libero professionista, invece, la responsabilità rimane contrattuale (articolo 1218 Cc) con prova più soft per il malato e prescrizione decennale.
La struttura
Si amplificano, in compenso, gli obblighi dell’azienda sanitaria che risponde anche per danni provocati da dipendenti o carenze organizzative. È una responsabilità da inadempimento o da inesatto adempimento (Tribunale di Milano 2088/19) poiché l’accettazione per visite o ricoveri equivale a concludere un contratto (Tribunale di Trieste 157/18) e apre ad un risarcimento compreso nel massimale di polizza. Stesso scenario per le attività svolte in intramoenia, sperimentazione e ricerca, convenzione, telemedicina. La struttura che non si provi diligente (Tribunale di Catania 2014/20) risponderà sia dell’inidoneità delle prestazioni mediche primarie che di quelle accessorie quali vitto, alloggio o assistenza (Tribunale di Cassino 966/18) salvo regresso verso il “colpevole” (Tribunale di Milano 6951/18).
I danni
Le lesioni liquidabili, come rendita o capitale (Tribunale di Roma 16807/18), spaziano dagli sbagli diagnostici alle terapie fallaci, dagli strumenti difettosi (Cassazione 27448/18) alla scarsa sorveglianza sui disabili (Corte d’appello di Roma 545/18).
I riflessi penali
Se a prevalere sono le cause civili, non mancano quelle penali tanto che i sanitari – per schivarle – hanno spesso optato per la “medicina difensiva” prescrivendo più esami e farmaci del necessario o rinunciando ad eseguire interventi o terapie troppo rischiosi. Un fenomeno che la riforma ha voluto arginare escludendo – con l’innesto nel codice penale dell’articolo 590 sexies – la punibilità di chi, adottate «buone pratiche clinicoassistenziali e raccomandazioni previste dalle linee guida» adeguate alla situazione, versi in colpa lieve da imperizia. Nessuna scusante se l’evento sia dipeso da negligenza per disattenzione e violate raccomandazioni (Cassazione 39733/18). Ma le Sezioni Unite 8770/18 avevano già chiarito che l’esimente non fosse applicabile né in caso di colpa da imprudenza e negligenza, né per colpa grave da imperizia nella fase esecutiva. Le linee guida accreditate varranno, dunque, da norme cautelari solo se idonee alle contingenze visto l’andamento consueto della patologia, l’efficacia delle cure o i fattori che potrebbero azzerarle (Cassazione 10175/20) e, ove non lo siano, il medico potrà e dovrà discostarsene